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            La pittura di Rita  Odorizzi, nella sua complessiva disponibilità ad una  conservazione della figurazione deve essere considerata come un modo,  irrazionale ma attento, di accostarsi alla realtà  esistenziale, ai problemi ed ai sentimenti, con tutte le possibili  implicazioni fantastiche e psicologiche.
 In essa si possono  isolare tre fasi: quella dell'approccio strumentale, in cui un  controllo istintivo del gesto consente di raggiungere qualificati  esiti cromatici e di impasti materici; quella della emancipazione  fantastica, nella quale la ricerca spontanea degli effetti sfiora un  «grafismo» libero o ubbidiente soltanto all'interno  fluido della materia e all'apparizione avventurosa dei segni nello  spazio; e quella, infine, dell'approfondimento ideopsicologico, in  cui la misura aggettante della sofferenza e dell'angoscia  esistenziale viene tradotta in un'aspirazione onirica o astrale, che  può richiamarci a tratti alle figurazioni di un Munch.
 
 Questa pittura, tuttavia,  al di là delle schematizzazioni critiche e classificatorie, ha  un denominatore comune: un gradiente di storicità (una  capacità, cioè, di sapersi riscoprire alle proprie  ragioni profonde, oltre ogni estetismo ed ogni esito d'arte), che  scopre le sue giunture nel flusso bruciante dell'esistere, non quello  della partecipazione diretta e collettiva, ma quello patito  nell'Intimo, misurato e scontato nel silenzio e nei limiti della  solitudine individuale.
 
 Per questo la ricerca  della Odorizzi si esplica su un filo che difficilmente va ad  intrecciarsi nella matassa delle esperienze comuni, ma tende a  dispiegarsi verso zone di profondità interiore (e di antiletterarietà  tematica), dove l'anima può mostrare tutto il suo nudo disegno  sentimentale. In ciò la soccorre anche un dono istintivo del  colore, che spende però con parsimonia, nel senso di una  misura tonale che è sempre l'esatta esplicitazione  fenomenologica della sua condizione spirituale; sicché i suoi  quadri vanno guardati a lungo, gustati con lentezza, se si vuole che  le ombre prendano corpo, che le indicazioni, vaghe ed ambigue,  diventino precise lucide e pregnanti, e gli sfondi che ci sono  sembrati indeterminati, acquistino il singolare sconcertante ed  autentico valore simbolico che è loro proprio.
 Pietro Civitareale   |